Pensieri

100 passi di Daniel Capurro

Di recente mi sono trovato di fronte all’usuale dilemma che ogni anno affligge milioni di Italiani: che fare per festeggiare il tanto amato periodo natalizio come si deve? Anzi, come Dio comanda, che in fondo è la nascita di Suo Figlio che si celebra (o per lo meno si celebrava una volta)?
Di certo non mi andava di confondermi, di omologarmi; era mia fermo intendimento distinguermi dalla massa, dal popolino senza fantasia, becero e pecorone, capace solo di arrostirsi le chiappe alle Maldive o di rischiare ossa rotte e legamenti stracciati a Cortina. Già, ma come fare?
E pensa e ripensa, e rifletti e ririfletti, alla fine ecco l’illuminazione: perché non riprendermi un po’ di quello che lo Stato ogni giorno mi sottrae sotto forma di dazi, gabelle e balzelli, trascorrendo un bel mesetto a carico di Mamma Italia?
In un primo tempo avevo considerato l’opportunità di farmi sbattere in gattabuia: vitto, alloggio, intrattenimenti giornalieri… sarà una pacchia! Ma poi ho riflettuto: come fare per “prendere le misure” del reato? Ormai non si capisce più niente, al giorno d’oggi un poveraccio malato di mente incensurato dà una duomata in faccia ad un giovanile 73enne e lo internano a vita, mentre il suddetto giovanile 73enne pur essendo stato più volte condannato per reati vari continua a fare il Presidente del Consiglio… c’era il rischio di beccarsi l’ergastolo per una puzzetta in ascensore! E poi, coi tempi (giudiziari) che corrono, rischiavo che andando al processo la macchina la guidasse mio figlio! Quindi, idea bocciata.
Fortunatamente, però, l’intuizione giusta mi si è presentata immediatamente: in quale campo (oltre al  mantenimento di quelle braccia rubate all’agricoltura che in Italia chiamiamo politici) lo Stato riversa Euro a camionate senza nessun risultato apprezzabile? Ma nella sanità pubblica, ovvio! E così detto fatto, in brevissimo tempo ecco organizzata una bella permanenza nel ridente reparto di Infettivologia dell’Ospedale degli Infermi di Biella!
E una cosa ben fatta, eh! Camera singola, pensione completa, vari trattamenti di bellezza… insomma, una favola!
L’unica pecca -perché siamo tutti umani, e istintivamente sappiamo di dover trovare qualcosa che non va, altrimenti non c’è soddisfazione!- era lo spazio dedicato alle passeggiate… figuratevi, in tutta quella parte della struttura residenziale per potersi sgranchire le gambe c’era solo un corridoio!
Ora, dovete sapere che quel corridoio è lungo esattamente cento passi. Cento passi dei miei, ovvio, passi da gamba lunga certo; ma anche passi lenti, stanchi, a volte tristi. In tutto saranno un 50 metri, mezzo più, mezzo meno. Ma quei 50 metri, quei 100 passi (e quel numero così tondo, così preciso, mi ha colpito in modo strano), beh… ho scoperto che potevano essere più di quanto paressero; lentamente -e il tempo non mancava, anzi è stato l’unica abbondanza di quei giorni- mi sono accorto che 100 passi possono diventare il mondo.
È triste constatare quanto meschini ci renda la nostra sofferenza, quanto gretti ed egoisti si possa diventare senza nemmeno accorgersene. Eppure temo sia inevitabile, perché in fondo -come ho già detto- siamo solo umani; e quindi, quando abbiamo qualcosa che non va, ci chiudiamo a riccio nel nostro dolore, e finiamo per dare per scontati l’amore, l’affetto, le persone che ci circondano. E questo è l’errore peggiore che si possa commettere.
E io l’ho commesso, perché nel mio andare avanti e indietro, con gli occhi bassi per la mia piccola, personale tristezza, all’inizio vedevo solo il pavimento, solo i miei piedi, solo me stesso. E non mi accorgevo di ciò che stava intorno a me: volti, storie, vite. E amore. Tanto amore.
Ma poi gli occhi li ho alzati, anzi, me li hanno fatti alzare… e caspita, quanta gente c’era intorno! Persone amiche, persone amate, persone così importanti che nemmeno so come definirle… ed erano tutti lì per me! E c’erano sempre state, solo che a me non interessava, perché poverino me non stavo bene, perché ero triste, perché mi sentivo solo… bah…
Portate pazienza se queste righe, che erano nate per far sorridere voi, sono diventate un mezzo per ringraziare loro: le persone che c’erano, che ci sono, che ci saranno sempre.
Ma certe cose vanno dette; e al momento giusto, senno è come lavarsi i piedi coi calzini: non dà nessuna soddisfazione e non serve a granché!
E quindi ora lo dico, e che sia ben chiaro: grazie. Grazie a te che c’eri. Grazie a te che sai.